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martedì 27/09/2022 • 06:00

Lavoro Decreto Trasparenza

L’obbligo informativo e il licenziamento ritorsivo

Ritorsivo il licenziamento del lavoratore che abbia preteso l'assolvimento degli obblighi informativi previsti dal Decreto Trasparenza, se il datore di lavoro non dimostra la liceità dei motivi posti alla base del provvedimento espulsivo.

di Alessandro Ripa - Avvocato in Milano

di Maria Grazia Paba - Avvocato in Milano

+ -
  • Tempo di lettura 7 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il Decreto Trasparenza (D.Lgs. 104/2022) ha accresciuto gli obblighi informativi del datore di lavoro (inteso anche come committente), il quale attualmente si trova costretto a fornire al lavoratore un'analitica descrizione delle condizioni che regolano il rapporto di lavoro.

In particolare, il Decreto Trasparenza ha modificato e integrato il D.Lgs. 152/97 (che disciplina gli obblighi informativi nei rapporti di lavoro) e ha stabilito che:

  • con riferimento ai rapporti sorti fino al 1° agosto 2022, il datore di lavoro deve fornire, integrare e aggiornare - nel termine di 60 giorni decorrenti dalla data sopra citata - tutte le informazioni contrattuali specificamente individuate dalla nuova normativa;
  • con riferimento alle nuove assunzioni (ovvero quelle effettuate dal 13 agosto 2022), il datore di lavoro deve indicare nella lettera d'assunzione, o nella comunicazione di avvio del rapporto di lavoro, tutte le condizioni contrattuali previste dalla nuova normativa.

Nell'ipotesi di una nuova assunzione, qualora il datore di lavoro ometta di fornire alcune informazioni obbligatorie in fase di avvio del rapporto di lavoro, potrà provvedervi:

  • nel termine di 7 giorni dall'inizio dell'attività lavorativa, se le informazioni mancanti sono relative ai protagonisti del rapporto di lavoro e al luogo di lavoro;
  • nel termine di 30 giorni dall'inizio dell'attività lavorativa, se le informazioni mancanti sono relative: al diritto di formazione del dipendente; all'eventuale identità di imprese utilizzatrici della prestazione lavorativa; alla determinazione e fruizione dei congedi retribuiti; al periodo di preavviso; agli obblighi contributivi e assicurativi.

Qualora il datore di lavoro ometta di assolvere ai nuovi obblighi informativi nei termini indicati dalla Legge, il lavoratore avrà il diritto di conoscere tutte le condizioni contrattuali del proprio rapporto di lavoro e di sollecitare la corretta trasmissione delle medesime. Tuttavia, tale condotta potrebbe non essere gradita al datore, e il dipendente - pur di non rischiare il posto - potrebbe desistere dall'esercitare legittimamente un proprio diritto.

Al fine di far fronte ad eventuali comportamenti ritorsivi e pregiudizievoli da parte del datore di lavoro, il Legislatore ha introdotto nel Decreto Trasparenza alcune tutele mirate affinché il lavoratore possa far valere il proprio diritto ad essere informato senza timori.

L'art. 12 D.Lgs. 104/2022, infatti, prevede che, nell'ipotesi in cui il datore di lavoro violi l'obbligo informativo, il lavoratore possa agire:

  • in via stragiudiziale tramite la promozione di un tentativo di conciliazione innanzi alle sedi protette di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c.;
  • tramite un ricorso innanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato di cui agli artt. 412 e 412 quater c.p.c.;
  • con la costituzione delle camere arbitrali di cui all'art. 31, c. 4, L. 183/2010.

Allo stesso modo, l'art. 13 D.Lgs. 104/2022 - nel chiaro intento di proteggere il lavoratore da condotte ritorsive - prevede l'adozione di sanzioni amministrative in capo ai datori che abbiano adottato, a fronte di eventuali reclami dei lavoratori volti ad ottenere l'osservanza dei precetti previsti dalla nuova normativa, condotte pregiudizievoli nei confronti degli stessi.

La sanzione potrà essere applicata dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro cui il lavoratore potrà rivolgersi se vittima di condotte ritorsive da parte del datore di lavoro.

Ma la novità più eclatante in tema di tutele per il lavoratore è senz'altro rappresentata dall'art. 14 D.Lgs. 104/2022. Il Legislatore, infatti, oltre ad aver espressamente vietato il licenziamento (e i trattamenti pregiudizievoli) nei confronti dei lavoratori che abbiano fatto valere i diritti di informativa previsti dalla normativa, ha previsto ulteriori accorgimenti per salvaguardare la posizione del lavoratore.

Più precisamente, il Legislatore ha rafforzato il diritto del lavoratore di conoscere i motivi posti alla base di un'eventuale estromissione, indipendentemente dall'obbligo di motivazione dei licenziamenti previsto dal nostro ordinamento. Detto altrimenti, il lavoratore potrà chiedere ulteriori delucidazioni in merito al licenziamento subito - se del caso rilevando la condotta ritorsiva del datore di lavoro - il quale avrà 7 giorni per fornire al dipendente, in forma scritta, i motivi posti alla base dell'estromissione.

Con tale modifica in materia di licenziamenti, il Legislatore ha riportato in vita un obbligo datoriale già previsto in passato dal nostro ordinamento.

Fino al 2012, infatti, l'art. 2 L. 604/66 prevedeva che il datore dovesse comunicare al lavoratore i motivi del licenziamento solo nell'ipotesi in cui quest'ultimo ne facesse espressa richiesta. Nel 2012, con l'entrata in vigore della riforma Fornero è stato modificato l'art. 2 L. 604/66 e introdotto l'obbligo per il datore di lavoro di specificare nella comunicazione di recesso i motivi del licenziamento; contestualmente, la stessa Legge ha abrogato il diritto del lavoratore di chiedere al datore, dopo il licenziamento, le ragioni del recesso.

Il Decreto Trasparenza, dunque, mira ad irrobustire la tutela del lavoratore licenziato, e, pur tenendo vivo l'obbligo di motivazione nella lettera di recesso introdotto dalla Legge Fornero, introduce per il lavoratore il diritto di chiedere al datore di lavoro ulteriori delucidazioni sulle ragioni del proprio licenziamento.

Ma non è tutto. Con il Decreto Trasparenza è stato invertito l'onere probatorio relativo alla natura ritorsiva del recesso. La nuova normativa, infatti, prevede che, se il lavoratore ritiene di essere stato licenziato per aver azionato i diritti previsti dal Decreto, l'onere della prova non graverà più sul medesimo (a dispetto di quanto accade altrove, e sempre in tema di licenziamento ritorsivo).

È risaputo che nei casi in cui il lavoratore agisca in giudizio per ottenere la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo, egli non solo ha l'onere di provare l'intento di rappresaglia del datore di lavoro, ma deve anche dimostrare che tale intento abbia avuto efficacia determinante ed esclusiva sulla volontà del medesimo. Detto altrimenti, il lavoratore non può limitarsi ad allegare circostanze che dimostrino l'intento illecito del datore, ma deve dimostrare che tale intento sia stato l'unico e determinante motivo del recesso.

Va da sé che solo in rari casi il lavoratore riesce a provare che la reale ragione posta alla base del recesso sia differente da quella addotta dal datore. Ciò sia per la difficoltà nel reperire le prove, sia perché il datore di lavoro può difendere, spesso agevolmente, ragioni oggettive, o disciplinarmente rilevanti, che hanno provocato il recesso. E nella maggior parte dei casi, la giurisprudenza ha ritenuto che nemmeno l'illegittimità delle ragioni addotte dal datore fosse sufficiente per accertarne l'intento ritorsivo.

Con il Decreto Trasparenza, il Legislatore ha voluto concedere al lavoratore una più ampia tutela: l'art. 14 D.Lgs. 104/2022 prevede che il soggetto che ritenga di essere stato licenziato per aver fatto valere il diritto ad essere informato non sarà tenuto ad indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso, né ad allegare alcunché. Sarà, invece, onere del datore di lavoro provare in giudizio che i motivi dedotti nella lettera di licenziamento non siano riconducibili al fatto che il lavoratore abbia preteso l'assolvimento dell'obbligo informativo di cui al Decreto Trasparenza, o il rispetto degli altri diritti previsti dalla medesima norma. 

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