venerdì 23/09/2022 • 06:00
Nella rettifica del valore doganale della merce possono essere prese in considerazione le banche dati delle Amministrazioni doganali nazionali, mentre non vi è l’obbligo di consultare le banche dati dell’Unione Europea. A stabilirlo è la Corte di Giustizia con le sentenze C-187/21 e C-599/20, che intervengono sui limiti imposti all’Agenzia delle Dogane nella rideterminazione del prezzo dichiarato all’importazione, alla base della fiscalità di confine.
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Utilizzo di banche dati nazionali
Il valore doganale dichiarato all'importazione può essere posto in discussione perché ritenuto non veritiero e, in seguito, rettificato dall'Agenzia delle Dogane sulla base di banche dati a uso interno. Tuttavia, nella rideterminazione del prezzo dichiarato ai fini doganali, l'Amministrazione non può ricorrere automaticamente al valore indicato da una banca dati nazionale, dovendo rispettare una serie di limiti imposti dal Codice doganale dell'Unione europea (Reg. UE 952/2013, c.d. Cdu).
Questo è quanto precisato dalla C.Giust. UE 9 giugno 2022 C-187/21, la quale ha anche precisato che l'Amministrazione doganale non ha l'obbligo di consultare database unionali sul valore doganale della merce.
Limiti imposti alla Dogana nella rideterminazione del valore doganale
Per rideterminare il valore dichiarato dall'operatore in Dogana, l'Agenzia deve seguire un preciso iter procedimentale stabilito dal Codice doganale dell'Unione europea.
La Corte di Giustizia ha, infatti, precisato che, in caso di fondati dubbi sulla correttezza del prezzo dichiarato dall'importatore, l'Amministrazione può rideterminare il valore della merce soltanto dopo aver avviato un contraddittorio preventivo con l'operatore e seguendo, in rigoroso ordine gerarchico, i criteri previsti dal Codice doganale (art. 29 e 30 Reg. CEE 2913/1992, ora trasposti negli artt. 70 e 74 Reg. UE 952/2013).
Obbligo di contraddittorio preventivo con l'operatore
La necessità di rispettare l'obbligo di un contraddittorio pre-accertativo, in sede di rettifica della base imponibile della fiscalità doganale, è stata più volte rimarcata dalla Corte di Cassazione, proprio sulla base della specifica normativa europea di settore. La Suprema Corte ha chiaramente stabilito che, ove emergano fondati sospetti che il valore dichiarato all'importazione non corrisponda a quello effettivo dei beni, l'autorità doganale deve chiedere informazioni complementari all'importatore e sollecitare il contraddittorio, per consentire una corretta ricostruzione del singolo caso concreto e delle circostanze che hanno determinato la fissazione del prezzo di acquisto del prodotto (Cass. 16 maggio 2022 n. 15540 e Cass. 17 gennaio 2019 n. 1114 e Cass. 17 gennaio 2019 n. 1115).
La Dogana deve pertanto attivarsi per realizzare un confronto effettivo con l'operatore, rideterminando in via “condivisa” il valore doganale dei beni importati.
Criteri sussidiari previsti dal Cdu
La normativa unionale prevede, inoltre, che soltanto quando la Dogana sia in grado di dimostrare che il prezzo di transazione della merce non è attenibile, è ammesso il ricorso ai criteri sussidiari di stima dei beni importati, individuati dalla normativa doganale.
È fondamentale precisare che tali criteri devono essere utilizzati secondo il rigido ordine gerarchico stabilito dal Codice doganale.
Dapprima, pertanto, l'Agenzia delle Dogane deve fare ricorso al criterio immediatamente sussidiario rispetto a quello del prezzo di transazione, ossia il valore di merci “identiche”. Soltanto in un secondo momento, l'Ufficio può ricorrere al valore medio di prodotti “similari”, dimostrando per quale ragione non è stato possibile rispettare la precisa sequenza dei metodi individuati dal Codice doganale.
E invero, come chiarito dalla Corte di Cassazione, è onere della Dogana dimostrare di aver applicato, in sede di rettifica, i metodi immediatamente sussidiari stabiliti dal Codice doganale, secondo la rigida sequenza prevista, dovendo eventualmente dar conto delle ragioni per cui l'applicazione dei precedenti criteri non sia stata possibile (Cass. 16 maggio 2022 n. 15540).
Utilizzo di database per individuare il valore di prodotti simili
Nell'individuazione del valore di beni simili a quelli importati, generalmente, la Dogana si affida a banche dati a uso interno, che non sono liberamente accessibili agli operatori. Sul punto, la Corte di Giustizia, con la sentenza in commento, ha affermato che la Dogana non è obbligata a consultare anche database dell'Unione europea, quando i dati estrapolati dalla banca dati nazionale utilizzata dall'Agenzia siano sufficienti per ottenere le informazioni relative al valore. In caso contrario, l'Ufficio può rivolgersi alle autorità di un Paese terzo, per ottenere dati supplementari ai fini della determinazione del valore di transazione di prodotti simili.
Va poi ricordato che l'Agenzia delle dogane, per individuare il valore di merci similari, può utilizzare soltanto i dati relativi a importazioni effettuate nell'arco di 90 giorni, tenendo conto dei 45 giorni precedenti e dei 45 giorni successivi allo sdoganamento.
Determinazione del valore doganale in caso di legame tra importatore e fornitore
La C.Giust. UE 9 giugno 2022 C-599/20, ha chiarito che uno stretto legame fiduciario tra importatore e fornitore non è sufficiente per ritenere inattendibile il prezzo dichiarato in Dogana. L'Agenzia delle Dogane può rideterminare il valore dei prodotti soltanto nel caso in cui vi siano connessioni qualificate tra il fornitore estero e l'acquirente europeo. La normativa doganale unionale fornisce una vera e propria definizione di “legame” tra parti correlate, individuando le situazioni in presenza delle quali è ipotizzabile una convergenza di interessi, finalizzata a una dichiarazione non corretta in ordine al valore della merce. L'elenco, contenuto all'art. 127 Reg. UE 2447/2015 ha carattere esaustivo.
Più precisamente, come riportato anche dalla Corte di Giustizia, si considerano “legate” due o più persone che rivestono la qualifica giuridica di associati.
Al riguardo, il giudice europeo ha chiarito che l'esistenza di un legame si realizza solo se le parti hanno stretto una associazione di diritto. Secondo la Corte UE, infatti, non si può ritenere che il compratore e il venditore abbiano la veste giuridica di associati oppure siano legati da un rapporto di controllo di diritto, diretto o indiretto, in una situazione nella quale non esista alcun documento che consenta di accertare detto legame.
Fonte: C.Giust. UE 9 giugno 2022 C-187/21
C.Giust. UE 9 giugno 2022 C-599/20
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