giovedì 22/09/2022 • 06:00
La Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia n. 173/2022 (ora Corte di Giustizia Tributaria di primo grado) chiarisce che il requisito della novità legato alla definizione di un prodotto deve essere valutato nelle sue diverse gradazioni, rigettando così tesi precostituite o “usi propri” delle norme di riferimento da parte dell’Agenzia nonché il parere del MISE.
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Ricostruzione della fattispecie. La contrapposta posizione delle “parti”
La sentenza in commento trae origine da una controversia instaurata da una Società attiva nella produzione e vendita di paste alimentari regolarmente costituitasi avverso un atto di recupero di credito d'imposta (ricerca e sviluppo) notificato dalla competente Agenzia delle Entrate.
A giudizio dell'Agenzia, la Società avrebbe di fatto indebitamente fruito del citato credito di imposta sotto un duplice profilo, sia procedimentale che di merito.
In particolare, seguendo il percorso argomentativo alla base del parere richiesto al MISE, non sarebbero stati rispettati i criteri dettati dall'art. 3 DL 145/2013 e comunque non rientrerebbe nel perimetro del credito l'attività di ricerca e sviluppo finalizzata alla produzione di nuove paste alimentari con particolari requisiti (atti a favorirne il consumo anche ai soggetti con specifiche intolleranze alimentari).
Dall'altra parte, la Società attrice deduce non soltanto la violazione dei termini decadenziali in tema di violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, ma deduce la piena legittimità del suo operato dal momenti che, come evidenziato negli atti di causa, “i contenuti innovativi consistono nella creazione di prodotti innovativi di alta qualità, nel miglioramento costante dei prodotti esistenti, nella creazione di ricette esclusive personalizzate sulla richiesta del cliente oltre che di utilizzo di ingredienti naturali”.
Posizione innovativa della attuale Corte di Giustizia tributaria di primo grado
I giudici di primo grado assumono una posizione (finalmente) tranchant sia nei confronti del parere MISE che, per ricaduta, dell'Agenzia delle Entrate.
Ed invero, evidenziano i Giudici, le argomentazioni suddette non colgono nel segno e, soprattutto, si collocano fuori del perimetro applicativo dell'art. 3 c. 4, nella parte in cui dispone che “(…) 4. Sono ammissibili al credito d'imposta le seguenti attività di ricerca e sviluppo:
(…) b) ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizio permettere un miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti ovvero la creazione di componenti di sistemi complessi, necessaria per la ricerca industriale, ad esclusione dei prototipi di cui alla lettera c)”.
Tanto premesso, anche richiamando precedenti depositi di parte, i Giudici rilevano puntualmente che i prodotti frutto della ricerca sono sostanzialmente nuovi, ovverosia esistenti prima della gamma commerciale della Società ricorrente.
In tal senso, la conclusione è ovvia: il diritto al credito d'imposta è incontestabile né, per altro verso, come pretendeva di sostenere l'Agenzia, si può argomentare a contrariis utilizzando a proprio piacimento il comma 5 dello stesso articolo, secondo cui “5. Non si considerano attività di ricerca e sviluppo le modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentino miglioramenti”. Nel caso trattasi, infatti, di prodotti nuovi.
Come evidente, il pronunciamento della Corte di primo grado è realmente innovativa e va salutata con favore non soltanto nei confronti di una questione che meriterebbe dal Legislatore una maggiore attenzione ma anche, e soprattutto, verso un'Amministrazione fiscale sempre meno incline agli investimenti imprenditoriali e che agisce “di rimessa” dinanzi ai pareri MISE.
Fonte: CTP Reggio Emilia14 settembre 2022 n. 173
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