lunedì 19/09/2022 • 06:00
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26054/2022, è intervenuta sul tema, pressoché privo di interventi giurisprudenziali né tantomeno di documenti di prassi, del corretto calcolo degli interessi in caso di vittoria in giudizio del contribuente.
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La Corte di Cassazione sancisce che gli interessi non possono essere calcolati sugli interessi chiesti al contribuente in sede di accertamento ove oltre a imposte e sanzioni vengono comminati gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo (art. 20 DPR 602/73) al tasso del 4% annuo.
Fatto
Una fondazione impugnava il diniego di rimborso degli interessi maturati, dalle date del pagamento, su somme corrisposte a titolo di sanzioni, dopo che la Corte di Cassazione, con sentenza Cass. 12 novembre 2014 n. 24060, aveva dichiarato non dovute le sanzioni irrogate con un avviso di accertamento: la CTP accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo che la situazione andasse qualificata come indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che gli interessi dovevano essere calcolati dalla data della domanda di restituzione. Sull'impugnazione principale dell'Agenzia delle Entrate ed incidentale del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana accoglieva l'appello incidentale, ritenendo che la situazione giuridica dovesse essere inquadrata nell'ipotesi di indebito di restituzione, sicché, gli interessi dovevano essere calcolati dal giorno del pagamento sia sull'importo delle sanzioni a suo tempo versate dalla contribuente sia sull'importo degli interessi a suo tempo applicati per ritardato pagamento sia ancora sugli aggi e diritti dell'Agente della riscossione. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate e la fondazione ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale deducendo i seguenti motivi:
Quadro normativo e l'orientamento della Corte di Cassazione
L'art. 68 D.Lgs. 546/92 (cui rinvia l'art. 19 c. 1 D.Lgs. 472/97) prevede, in pendenza del processo:
L'art. 68 parte dal presupposto che la pretesa tributaria non è certa sino all'ultimo grado di giudizio ed è divenuta la regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario (Cass. 12 novembre 2010 n. 22997; Cass. 10 giugno 2011 n. 12791): la Corte di Cassazione ritiene che la norma sia fonte di un'obbligazione ex lege da indebito, atteso che, quando l'impugnazione della parte trova definitivo accoglimento e la pretesa tributaria che ne è oggetto viene caducata nell'intero o solo in parte, l'amministrazione, in virtù dell'obbligo da essa stabilito è tenuta ex officio ad eseguire il prescritto rimborso delle somme dovute, maggiorate degli interessi di legge, entro il termine di novanta giorni dalla notificazione della sentenza.
Per effetto dell'art. 68 c. 2 D.Lgs. 546/92, “Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza”: sempre secondo la Corte Suprema, la fattispecie è, dunque, sussumibile in quella dell'annullamento dell'atto impositivo presupposto in sede giurisdizionale, disciplinata dall'art. 68 c. 2 D.Lgs. 546/92, in base al quale, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza, a prescindere sia dal passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato l'atto presupposto, sia dall'impugnativa della cartella provvisoria spiccata dal concessionario della riscossione (Cass. 4 novembre 2020 n. 24554). Ciò anche alla luce della disposizione di cui al comma 1 dello stesso art. 68, riguardante il pagamento dei tributi in pendenza del processo, la quale, facendo riferimento anche alla riscossione dei "relativi interessi previsti dalle leggi fiscali", consente all'Amministrazione di pretendere, in via provvisoria, anche gli interessi moratori, insieme al tributo cui accedono (Cass. 29 dicembre 2010 n. 26308).
Sul tema degli interessi la norma di riferimento è l'art. 44 DPR 602/73, secondo cui “Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del 2,50% per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso dall'intendente di finanza o dell'elenco di rimborso”: ad oggi, ai sensi dell'art. 1 DM 21 maggio 2009, il tasso è quello dell'1% semestrale e del 2% annuo (Circ. AE 8 aprile 2016 n. 12/E § 19.1.3).
Il richiamato art. 44, nel prevedere il tasso di interesse sulla restituzione di somme versate, a titolo di imposte dirette, in eccedenza a quanto effettivamente dovuto per il periodo in considerazione, stabilisce che il contribuente ha diritto alla corresponsione di tale interesse per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, ricompresi tra la data del versamento e quella dell'ordinativo con il quale venga, in concreto, effettuata la restituzione della maggiore imposta versata.
La Corte, nella sentenza in commento, rammenta che in passato (Cass. 6 dicembre 1991 n. 13137) ebbe ad affermare che gli interessi sui crediti verso lo Stato, derivanti da rimborsi di tributi, sono assoggettati, in considerazione della specialità della materia fiscale, ad una disciplina diversa da quella adottata in campo civilistico, con la conseguenza che tale specifica disciplina (nella specie, si trattava dell'art. 199 bis DPR 645/58) assorbe e sostituisce la seconda, sicché agli interessi nella misura dalla stessa fissata non sono cumulabili gli interessi legali determinati dall'ordinaria normativa codicistica. La specialità della materia fiscale giustifica la diversa disciplina dettata in materia dal legislatore, che ha voluto regolare secondo modalità diverse da quelle adottate in campo civilistico gli interessi su crediti derivanti da rimborsi di tributi, a carico dello Stato (cfr. C.Cost. 10 marzo 1988 n. 288; C.Cost. 3 marzo 1989 n. 93). In quest'ottica, alle obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta non sono applicabili gli artt. 1224 c. 1 e 1284 c.c., stante, appunto, la speciale disciplina dell'art. 44, relativa a tutti gli interessi dovuti dall'amministrazione finanziaria in dipendenza di un rapporto giuridico tributario.
Nel caso di specie, l'obbligo di restituzione degli interessi sulle sanzioni indebitamente percepite deriva da un rapporto tributario, pur rappresentando l'effetto dell'annullamento in sede giurisdizionale del titolo sulla cui base il pagamento, poi rivelatosi indebito, era avvenuto, ragion per cui non trovano applicazione i principi codicistici dettati con riferimento alle obbligazioni pecuniarie (come, peraltro, già evidenziato nell'analisi del ricorso principale).
Da ciò deriva altresì che, mentre il dies a quo di decorrenza deqli interessi deve essere individuato, ai sensi degli artt. 38 e 44 DPR 602/73, nel compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento (anziché nelle date dei pagamenti poi rivelatisi indebiti), il termine finale della decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare va individuato non già nella data del saldo finale effettivo (come, invece, stabilito dalla CTR), bensì in quella in cui avviene l'emissione del mandato di pagamento. In altri termini, il tasso legale al quale occorre fare riferimento per la liquidazione degli interessi sulla restituzione della maggiore imposta pagata, è quello vigente al momento in cui viene a scadenza ciascun singolo semestre, giacché è solo in tale momento che il diritto alla percezione di detti interessi viene a maturare a favore del contribuente.
La Corte di Cassazione sancisce che gli interessi non possono essere calcolati sugli interessi chiesti al contribuente: si rammenta, infatti, che l'accertamento richiede oltre a imposte e sanzioni anche gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo (art. 20 DPR 602/73) al tasso del 4% annuo.
Se il contribuente è vittorioso l'Amministrazione finanziaria deve restituire il tutto, compresi gli interessi ex art. 20 DPR 602/73 che potrebbero ritenersi maggiorati degli interessi fiscali, che come visto sono quelli dell'art. 44 DPR 602/73: questi ultimi interessi si calcolano sulla quota di imposta ma non sulla quota degli interessi ex art. 20 DPR 602/73.
Tuttavia, gli interessi possono essere calcolati sull'aggio di riscossione (oggi non più dovuto in ragione della L. 234/2021): nella sentenza la Corte di Cassazione precisa che tra le voci in relazione alle quali vanno calcolati gli interessi, sia pure nella misura prevista dalle leggi fiscali, va senz'altro ricompreso altresì l'aggio, il quale, come è noto, consiste nella remunerazione che, fino al 2015, l'Agente della riscossione percepiva (nella percentuale del 6% del debito) per la sua attività di riscossione per ogni cartella.
Fonte: Cass. 5 settembre 2022 n. 26054
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