Ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, il luogo in cui sorge il presupposto di “immissione al consumo” è da identificarsi con quello di destinazione finale e non con il luogo di prima introduzione del bene nel territorio europeo. Nel caso di un veicolo immatricolato in uno Stato terzo e introdotto, in violazione della normativa doganale, nel territorio dell'Unione europea, il presupposto dell'Iva sorge nello Stato membro in cui l'autore dell'inosservanza risiede e utilizza effettivamente il mezzo di trasporto. Questa è la conclusione a cui è giunta la Corte di Giustizia con la sentenza 8 settembre 2022, C-368/21, con cui è stato ribadito il principio secondo cui il luogo in cui l'Iva deve essere assolta può divergere da quello in cui sorge l'obbligazione doganale nel caso in cui il bene, introdotto illegittimamente nel territorio UE in un determinato Paese, sia successivamente destinato al consumo in un diverso Stato membro.
Il caso
La vicenda nasce a seguito del ricorso, presentato da un cittadino tedesco, con riguardo a un avviso di accertamento, notificato dalla Dogana tedesca, relativamente a un acquisto e un'importazione di un'automobile. Nello specifico, il cittadino tedesco aveva acquistato e immatricolato il mezzo in Georgia, per poi ritornare in Germania su tale veicolo attraversando Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria e Austria. Durante tale tragitto, il ricorrente non aveva provveduto a dichiarare il veicolo presso la Dogana bulgara, ossia lo Stato membro da cui aveva fatto ingresso nel territorio dell'Unione europea. Raggiunto dal sopra citato avviso di accertamento da parte dell'Ufficio doganale tedesco, che gli contestava sia i dazi all'importazione che l'Iva, il contribuente ha deciso di contestare il provvedimento soltanto con riguardo a quest'ultima obbligazione, sostenendo che tale imposta non fosse dovuta nei confronti della Dogana tedesca dovendosi considerare, quale luogo in cui è sorto il presupposto impositivo dell'Iva, la Bulgaria, in quanto primo Stato membro d'ingresso del veicolo nel territorio unionale.
Luogo in cui sorge l'obbligazione Iva relativamente alle importazioni
Il caso presenta alcune analogie con quello precedentemente trattato dalla sentenza della Corte di Giustizia, 10 luglio 2019, C-26/18, anch'essa relativa a una fattispecie di «introduzione irregolare» di merce non unionale nel territorio doganale europeo. In presenza di un luogo di prima introduzione avvenuta in Germania e di un luogo di destinazione al consumo avvenuta in Grecia, la Corte ha affermato, come in questo caso, che il presupposto dell'obbligazione doganale all'importazione si realizza nello Stato membro in cui è avvenuta la prima introduzione irregolare (Germania), ma che l'Iva segue una strada diversa. In materia doganale, il legislatore europeo ha stabilito una presunzione assoluta, dunque non suscettibile di prova contraria, disponendo che, in caso di inosservanza della normativa doganale sulla vigilanza di confine, le merci si considerino inserite nel circuito economico dell'Unione
Tuttavia, l'introduzione irregolare nel territorio europeo non è sufficiente a determinare il fatto generatore dell'Iva, se è accertato che in tale Paese è avvenuto solo un temporaneo ingresso fisico, senza il concreto consumo del bene o il suo inserimento nel circuito economico.
Viene dunque rimarcato il principio secondo cui l'Iva all'importazione e i dazi doganali presentano caratteristiche essenziali comparabili, ma non coincidenti.
L'obbligazione doganale sorge già con l'irregolare immissione in libera pratica, ossia con la violazione dell'obbligo di presentazione della dichiarazione doganale, mentre il presupposto dell'Iva si realizza nel momento in cui avviene la concreta introduzione dei beni nel circuito economico (art. 70 direttiva Iva 28 novembre 2006 n. 112).
Legame tra Iva e dazi doganali
La direttiva Iva, infatti, autorizza gli Stati membri a collegare l'evento generatore dell'obbligazione in esame con il momento in cui sorge anche l'obbligazione doganale. Come noto, infatti, la Corte di giustizia europea aveva già più volte dichiarato (Corte di Giustizia, 7 aprile 2022, Kauno territorine muitine, C-489/20) come sia i dazi che l'Iva all'importazione abbiano caratteristiche compatibili tra loro, poiché trovano origine dal medesimo presupposto ossia l'entrata del bene nell'Unione europea e il suo successivo “inserimento nel circuito economico”. Tali eventi generalmente coincidono e, di conseguenza, il momento in cui sorge l'obbligazione Iva può essere fatto corrispondere anche all'istante in cui sono dovuti i dazi doganali ossia, come nel caso di violazione della relativa normativa, l'entrata del bene nel suo circuito economico dove esso può essere oggetto di effettivo “consumo”.
Inserimento nel circuito economico unionale
Come affermato dai giudici della Corte di Giustizia, tuttavia, il parallelismo tra obbligazione doganale e Iva non è certamente automatico, e questo principio rappresenta un elemento di interesse e di novità nell'approccio alla questione, che fa seguito ad alcuni recenti sentenze della stessa Corte europea.
Ove, infatti, venga dimostrato che, nonostante la violazione del diritto doganale in un primo Paese europeo, il bene illegittimamente importato è stato trasportato in un secondo Stato membro, successivamente al suo ingresso, e ivi è avvenuta l'immissione nel circuito economico, il fatto generatore dell'Iva si verifica in questo secondo Stato membro e non nel luogo di illegittima importazione (in tal senso, sentenza 10 luglio 2019, Federal Express Corporation Deutsche NiederlassungC-26/18). Al riguardo, si era già espressa la Corte con riferimento proprio all'introduzione di automobili nel territorio unionale. Sotto tale profilo, infatti, i giudici avevano considerato come luogo di “inserimento nel circuito economico” lo Stato membro in cui aveva residenza il soggetto passivo utilizzatore finale, nonostante il mezzo in questione, similmente al caso di specie era materialmente entrato nel territorio unionale attraverso un altro Paese membro prima di giungere alla sua destinazione finale (sentenza 3 marzo 2021, Hauptzollamt Münster, C-7/20).
Tenuto conto di tale precedente giurisprudenziale, quindi, la Corte di giustizia ha ritenuto che il primo “effettivo utilizzo” ai fini impositivi del veicolo in esame, nonostante questo sia stato usato per la prima volta in Bulgaria ai fini di transito verso l'effettiva destinazione, sia avvenuto nello Stato membro di residenza dell'acquirente, ossia la Germania. Di conseguenza, poiché il veicolo deve essere considerato come inserito nel circuito economico dell'Unione in quest'ultimo Stato membro, tale paese è l'effettivo luogo di importazione. Nel caso in esame, dunque, è l'entrata in Germania che diventa evento generatore dell'obbligazione Iva.
Effettivo “consumo” di un veicolo introdotto nell'unione in violazione delle norme doganali
In sostanza, quindi, il fatto che il veicolo sia stato utilizzato quale mezzo di trasporto non impatta, per i Giudici, nella valutazione in merito al luogo di “effettivo consumo”, giacché i beni possono essere introdotti nel circuito economico di uno Stato membro diverso da quello della loro introduzione fisica nel territorio unionale. Per tali ragioni, quindi, un veicolo immatricolato in Stato terzo utilizzato da un soggetto passivo per transitare da uno Paese membro a quello di residenza, ove il veicolo verrà poi effettivamente e durevolmente utilizzato, viene considerato come inserito nel circuito economico in quest'ultimo Stato. Nel caso oggetto di esame, pertanto, la Corte di giustizia ha affermato che, ai fini Iva, il luogo dell'importazione di un veicolo immatricolato in uno Stato terzo e introdotto nell'Unione europea, in violazione della normativa doganale, si trova nello Stato membro in cui l'autore dell'inosservanza degli obblighi imposti dalla normativa doganale risiede e utilizza effettivamente il veicolo.
Fonte: Corte di Giustizia UE, sentenza 8 settembre 2022, C-368/21