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venerdì 09/09/2022 • 12:01

Lavoro Criticità del Decreto Trasparenza

Il cumulo di impieghi in attesa delle informazioni ministeriali

Il Decreto Trasparenza ha avuto il merito di aver esplicitato alcuni limiti allo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del lavoratore, come il conflitto di interessi e la violazione dell'obbligo di fedeltà. Tuttavia, rimangono dubbi interpretativi sulla verifica di queste condizioni.

di Marcella De Trizio - Avvocato - Studio ArlatiGhislandi

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il c.d. Decreto Trasparenza (D.Lgs. 104/2022) è stato dichiaratamente emanato in attuazione della Dir. UE 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, con la finalità di prevedere nei rapporti di lavoro condizioni trasparenti e prevedibili.

La finalità è raggiunta dal legislatore non solo con una dettagliata indicazione degli elementi da inserire nel contratto di lavoro e nelle comunicazioni ad esso collegate, ma anche attraverso l'emanazione di norme sostanziali di tutela delle condizioni di lavoro. Dette norme sono contenute sostanzialmente nel capo III del decreto; in particolare nell'art. 7 sulla durata massima del periodo di prova, nell'art. 8 sul cumulo di impieghi, nell'art. 9 sulla prevedibilità minima del lavoro, nell'art. 10 sulla transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili e nell'art. 11 sulla formazione obbligatoria.

Soffermandoci sull'Istituto del cumulo di impieghi, si evidenzia come, nell'unica circolare interpretativa ad oggi emanata (Circ. INL 10 agosto 2022 n. 4), l'Ispettorato nazionale del lavoro non ha fornito chiarimenti interpretativi, dichiarando espressamente che sul punto saranno fornite specifiche “informazioni”.

Purtuttavia il decreto è in vigore da quasi 30 giorni, ovverosia dal 13 agosto 2022, pertanto non è superfluo ipotizzare alcune soluzioni interpretative ed operative, in attesa di conferme o smentite degli Organi deputati.

Campo di applicazione

Come anticipato, la disciplina del cumulo di impieghi è contenuta nell'art. 8 D.Lgs. 104/2022 che al comma 3 ne definisce il campo di applicazione, precisando che la norma si applica anche:

  • “al committente nell'ambito dei rapporti di lavoro di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c.” ovverosia ai rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;
  • ai rapporti “di cui all'art. 2, c. 1, D.Lgs. 81/2015” ovverosia ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, ivi compresi i collaboratori le cui prestazioni siano organizzate mediante piattaforme digitali.

Con riferimento alle esclusioni, il comma 4 del richiamato art. 8, espressamente esclude dal campo di applicazione della disciplina del cumulo di incarichi i lavoratori marittimi e quelli della pesca. Sembrerebbero inclusi, quindi, anche i rapporti di lavoro agricolo e domestico, oltre che i contratti di lavoro c.d. atipici.

Con riferimento, invece, al pubblico impiego, il comma 3 pur non prevedendo una esplicita esclusione, ribadisce che restano ferme le regole sulla incompatibilità e sul cumulo di incarichi contenute nell'art. 53 D.Lgs. 165/2001.

Poco chiara risulta, ad avviso di chi scrive, l'espressione “si applicano anche al committente” nell'ambito dei rapporti di lavoro di cui all'art. 409 c. 3 c.p.c. e all'art. 2, c. 1, D.Lgs. 81/2015.

Invero i citati rapporti sono già compresi del campo di applicazione del decreto all'art. 1, per cui sembrerebbe che il riferimento abbia solo la finalità di finalità rafforzare il concetto di estensione del diritto anche ai suddetti lavoratori.

Il diritto di svolgere un'altra attività lavorativa e le relative tutele

L'art. 8, c. 1, impedisce al datore di lavoro di “vietare al lavoratore lo svolgimento di altra attività lavorativa in orario al di fuori della programmazione dell'attività lavorativa concordata”.

In altri termini, viene per la prima volta esplicitato in una norma di legge il diritto del lavoratore a svolgere un'attività lavorativa fuori dell'orario di lavoro, rafforzando questo diritto con delle specifiche tutele. Invero, espressamente la norma prevede che per lo svolgimento di altra attività lavorativa, non può essere riservato al lavoratore “un trattamento meno favorevole”.

La violazione di questo diritto sembrerebbe – allo stato e in assenza di chiarimenti - consentire non solo l'applicazione dello specifico apparato sanzionatorio previsto in ipotesi di violazione del decreto, ma anche la possibilità per il lavoratore di beneficiare delle tutele contenute nel capo IV del decreto, rubricato “Misure di tutela” e consistenti:

  • nella possibilità di far ricorso ai meccanismi risoluzione rapida delle controversie e nel diritto di ricorso, richiamati all'art. 12 del decreto;
  • nella protezione da trattamenti o conseguenze sfavorevoli, citata dall'art. 13 del decreto;
  • nella protezione contro il licenziamento o contro il recesso del committente, con relativo alleggerimento dell'onere della prova.

Anche su questo punto sarebbe fortemente auspicabile un chiarimento. Nelle more è ipotizzabile che il datore di lavoro, su comunicazione del dipendente, firmi un atto di assenso o di dissenso motivato allo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente.

Limiti allo svolgimento di altro rapporto di lavoro

La possibilità di svolgere altra attività lavorativa, benché espressamente disciplinata per la prima volta dal Decreto Trasparenza, non è una novità nel nostro ordinamento, non essendo mai stato esplicitato un espresso divieto a riguardo, ma solo delle norme regolatrici del rapporto di lavoro (in primis quella relativa all'orario di lavoro) che di fatto ne limitavano il ricorso. Si richiama, ex plurimis, la sentenza della Cass. 25 maggio 2017 n. 13196, che ha ribadito come il datore di lavoro non possa disporre della facoltà del proprio dipendente di reperire un'occupazione diversa in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale e, in tali casi, l'incompatibilità deve essere valutata dal datore di lavoro.

Merito del decreto è, tuttavia, quello di aver esplicitato alcuni limiti allo svolgimento di altra attività lavorativa, tra cui si enuclea, come sbarramento iniziale il rispetto dell'art. 2105 c.c., per cui nessuna attività lavorativa potrà essere svolta in violazione dell'obbligo di fedeltà.

È richiesto, inoltre, che lo svolgimento di altra attività lavorativa avvenga al di fuori della programmazione dell'attività lavorativa concordata e che il datore di lavoro possa limitare o negare lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro qualora sussista una delle seguenti condizioni:

a) un pregiudizio per la salute e la sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi;

b) la necessità di garantire l'integritàdel servizio pubblico;

c) il caso in cui la diversa e ulteriore attività lavorativa sia in conflitto d'interessi con la principale, pur non violando il dovere di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c..

Le criticità che la norma genera sono numerose, quantomeno perché il datore di lavoro è onerato di verificare se “l'altra” attività lavorativa possa arrecare un pregiudizio alla salute e alla sicurezza del lavoratore e, per l'effetto, di limitare o addirittura di impedire, lo svolgimento di altra attività lavorativa. Trattasi di informazioni che non sono nella disponibilità di parte datoriale e che non sono di facile reperimento.

Ad avviso di chi scrive, una verifica in tal senso – quantomeno in prima battuta - non può che essere effettuata dal datore di lavoro sulla base di informazioni fornite dal lavoratore che, in fase di assunzione dovrà impegnarsi non solo a rispettare il “tradizionale” dovere di fedeltà, ma anche a non svolgere attività in conflitto di interessi.

Il lavoratore dovrà, inoltre, impegnarsi a dichiarare l'eventuale svolgimento di altra attività lavorativa con altro datore di lavoro/committente, precisando:

  • la data di inizio della stessa;
  • la tipologia di attività lavorativa da svolgere e la sua relativa collocazione temporale;
  • il datore di lavoro in favore del quale l'attività lavorativa sarà resa.

Nell'ottica del rispetto delle finalità poste dal Decreto Trasparenza in sede di assunzione è opportuno informare, inoltre, il lavoratore anche della possibilità che l'imprenditore neghi o limiti lo svolgimento del diverso rapporto di lavoro nella casistica suindicata, fermo restando l'eventuale esercizio del potere disciplinare.

Quali rapporti sono consentiti?

Quanto alla tipologia di attività lavorativa svolta, il legislatore non pone limiti, per cui, in linea teorica, risulta possibile svolgere qualsiasi attività lavorativa, in forma autonoma e subordinata.

Se si escludono soluzioni di lavoro part time o di lavoro agile, risulta tuttavia complesso ipotizzare un mix di due rapporti di lavoro subordinato da poter svolgere nel rispetto delle pause e dei limiti massimi di lavoro, settimanale e straordinario.

Purtuttavia rilevanti problematiche possono sorgere anche in regime di lavoro non subordinato, essendo estremamente complesso in tali ipotesi adempiere all'obbligo di verificare se vi è un “pregiudizio per la salute e la sicurezza, ivi compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi”.

Anche sul punto sarebbe utile un intervento chiarificatore del Dicastero, fermo restando che le complessità del decreto richiederebbero un intervento organico del legislatore.

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