venerdì 09/09/2022 • 06:00
Gli scioperi della magistratura tributaria e dei dottori commercialisti sulla legge delega di riforma del processo tributario, hanno motivazioni in buona parte sindacal-corporative oppure fumose, come per la dipendenza dal MEF. Dietro di esse tuttavia si intravedono perplessità di fondo sul senso della riforma.
Il processo tributario suscitava molti malesseri, e aveva bisogno di una riforma, ma per riformare occorre conoscere i termini dei problemi. Scatta altrimenti il riformismo compulsivo, con cui la politica gestisce la propria immagine, sapendo che passeranno anni prima che ci si renda conto dell’inadeguatezza della riforma.
La delega sul processo tributario riguarda più questioni contingenti, sulla selezione del giudice, che importanti, sul ruolo del giudice rispetto al cattivo esercizio di una funzione amministrativa come quella tributaria. Ci si è fatti prendere da battaglie di facciata, come l’istituzione di una magistratura specifica, con un proprio concorso di ammissione, impantanandosi su problemi di coordinamento con le altre magistrature, in nome dell’importanza del diritto tributario.
È fin troppo facile osservare l’esistenza di materie più importanti, come la famiglia, la salute, la sicurezza, e tante altre, che non hanno affatto una propria magistratura dedicata. Sulla spinta delle urgenze, anche di uso del PNRR, si sono autoprodotti incastri difficili, con una lunghissima fase transitoria.
Gli scioperi che ad essa si riferiscono sono un indizio dell’inadeguatezza della riforma rispetto ai temi di fondo sul ruolo del giudice nella funzione tributaria.
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Marco Ligrani
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