venerdì 09/09/2022 • 06:00
In tema di accertamento e riscossione, la competenza sarà delle Entrate qualora, precedendo l'immissione in libera pratica quella in consumo con un certo intervallo temporale, l'IVA venga assolta al momento dell'estrazione della merce dal deposito fiscale mediante il meccanismo dell'inversione contabile.
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L'Agenzia delle Dogane è competente qualora l'immissione in libera pratica e quella al consumo coincidano all'atto dell'importazione. Invece la competenza, in tema di accertamento e riscossione sarà dell'Agenzia delle Entrate qualora, precedendo l'immissione in libera pratica quella in consumo con un certo intervallo temporale, l'IVA venga assolta al momento dell'estrazione della merce dal deposito fiscale mediante il meccanismo dell'inversione contabile, siccome non si tratta, in forza della normativa UE, di un'obbligazione doganale.
Nel caso affrontato l'Agenzia contestava alla contribuente un uso puramente virtuale del deposito IVA al semplice fine di non versare l'IVA all'importazione. Ma, in base agli accertamenti perpetrati dall'Ufficio delle Entrate, la merce stazionava nel deposito il tempo strettamente necessario per l'espletamento degli adempimenti connessi all'utilizzo del beneficio dell'autofatturazione. Così le Entrate non recuperavano l'IVA all'importazione ma disconoscevano la detrazione derivante dall'autofatturazione illegittima.
Caso
Una contribuente, titolare di una ditta individuale, vedeva accolto il proprio ricorso dinnanzi alla CTP di Bari avverso vari avvisi di accertamento volti a recuperare l'IVA all'importazione a seguito di contestazione dell'indebito utilizzo del regime agevolativo connesso al deposito IVA ed in particolare l'uso illegittimo dell'istituto ex art. 50 bis DL 331/93. Di pari avviso, la CTR rigettava l'appello dell'Ufficio, confermando così la sentenza di primo grado, osservando preliminarmente il difetto di competenza funzionale dell'Agenzia delle Entrate in quanto il soggetto legittimato ad accertare le violazioni inerenti le operazioni relative all'IVA all'importazione era l'Agenzia delle Dogane e non le Entrate. L'Ufficio ricorreva così in Cassazione sulla scorta di un unico motivo. I giudici di legittimità accoglievano le doglianze dell'Agenzia siccome, nella fattispecie in esame era stato contestato l'uso puramente virtuale del deposito IVA al solo fine di non corrispondere l'IVA all'importazione. Per l'appunto, in base agli accertamenti la merce stazionava nel deposito il tempo strettamente necessario all'espletamento degli adempimenti connessi all'utilizzo del beneficio dell'autofatturazione. Sulla base di ciò, l'Agenzia delle Entrate aveva effettuato non il recupero dell'IVA all'importazione come tale ma il disconoscimento della detrazione d'imposta derivante dall'autofatturazione illegittima, attività rientrante pacificamente nelle sue competenze.
Così la Cassazione ha accolto il ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR.
IVA all'importazione
Anzitutto occorre rammentare che l'IVA all'importazione è un'imposta identica all'IVA interna/intraUE, le cui differenze non sono sostanziali ma solamente di carattere procedimentale, in relazione alla fase di accertamento e riscossione. Di conseguenza deve considerarsi quale tributo inserito nel quadro generale dell'imposta armonizzata, essendo la ratio impositiva quella di “porre i prodotti importati nella stessa situazione di quelli nazionali analoghi per ciò che riguarda gli oneri fiscali gravanti sulle due categorie di merci” (Cfr. C.Giust. UE 25 febbraio 1988 C-299/86, Rainer Drexl; Cass. 13 luglio 2018 n. 18652 e Cass. 14 febbraio 2019 n. 4384).
Poiché l'IVA all'importazione e l'IVA intraUE identifichino la medesima imposta, emerge anche dal noto caso Equoland (C.Giust. UE 17 luglio 2014 C-272/13) deciso dalla Corte di Giustizia secondo cui la violazione dell'obbligo formale d'introduzione fisica delle merci nel deposito “non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell'IVA all'importazione poiché questa è stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile applicato dal soggetto passivo”. Cosicché per sua natura, l'IVA all'importazione risulterà essere estranea al contenuto dell'obbligazione doganale all'importazione, previsto dall'art. 4 lett. 9 Reg. UE 2913/92, quale “obbligo di una persona di corrispondere l'importo dei dazi”, identificati questi ultimi, alla successiva lett. 10, con “i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente dovuti all'importazione delle merci” (cfr. C.Giust. UE 29 luglio 2010 C-248/09, Pakora Pluss; C.Giust. UE 2 giugno 2016 C-226/14 Eurogate Distribution). La natura interna dell'IVA all'importazione non ne consente l'assimilazione ai dazi, con cui l'imposta condivide il presupposto impositivo, individuato nel fatto dell'importazione nell'UE e nella susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (cfr. C.Giust. UE 11 luglio 2013 C-273/12 Harry Winston). A ciò si deve poi aggiungere che se generalmente fatto generatore dell'imposta ed esigibilità della stessa sono identici nei due tributi, vi possono essere situazioni in cui ciò non si verifica.
Sempre in tema di IVA all'importazione, la competenza dell'accertamento e riscossione spetta all'Agenzia delle Entrate, qualora, procedendo all'immissione in libera pratica, quella in consumo con un certo intervallo temporale, l'IVA venga assolta al momento dell'estrazione della merce dal deposito fiscale, mediante il meccanismo contabile del “reverse charge”, atteso che non si tratta, secondo la normativa UE, di un'obbligazione doganale, restando la legittimazione attribuita, per economia di procedimento, all'Autorità doganale solo ove l'immissione in libera pratica e quella al consumo coincidano al momento dell'importazione (Cass. 20 dicembre 2017 n. 30538 e Cass. 24 settembre 2019 n. 23674).
Infatti, come ricordato in passato dalla Cass. 5 agosto 2016 n. 16459, l'Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell'IVA all'importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale IVA, si sia avvalso illegittimamente del regime sospensivo ex art. 50 DL 331/93, qualora costui abbia già provveduto all'adempimento, anche se tardivo dell'obbligazione tributaria secondo il meccanismo del reverse charge, mediante un'autofatturazione e registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite. Ciò in ragione del fatto che la violazione del sistema del versamento IVA, realizzata dall'importatore per effetto dell'immissione solo virtuale della merce nel deposito fiscale IVA, ha natura meramente formale e non può pertanto mettere in discussione il suo diritto alla detrazione.
Osservazioni finali
La Cassazione ha puntualizzato un aspetto assai nodale: l'Agenzia delle Entrate è legittimata ad effettuare i controlli per verificare il rispetto degli adempimenti fiscali connessi alla gestione ed all'utilizzo dei depositi IVA, con conseguente potere di accertamento delle violazioni, qualora l'immissione al consumo sia antecedente a quella in libera pratica e l'IVA sia assolta all'atto dell'estrazione della merce dal deposito fiscale utilizzando il meccanismo dell'inversione contabile.
Quindi il potere accertativo delle Entrate è esteso anche all'IVA all'importazione, ferma restando la condizione di cui sopra. Per l'appunto l'Agenzia delle Dogane è invece competente in caso di coincidenza, all'atto dell'importazione, tra immissione in libera pratica e quella al consumo.
Se poi l'Ufficio delle Entrate dovesse accertare un uso meramente virtuale del deposito IVA, ossia finalizzato a non corrispondere l'IVA all'importazione, allora l'Agenzia stessa sarà competente ad intervenire. In tal caso l'attività non sarà tanto volta al recupero dell'IVA all'importazione ma piuttosto a disconoscere le detrazioni d'imposta derivanti dall'autofatturazione illegittima.
Fonte: Cass. 5 settembre 2022 n. 26028
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Vincenzo Cristiano
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