giovedì 08/09/2022 • 06:00
La Cassazione (29 agosto 2022 n. 25474) torna a fare il punto sul tema della detraibilità IVA delle fatture soggettivamente false e della prova indiretta della consapevolezza del contribuente di essere parte di una frode, facendo un passo indietro rispetto all’indirizzo della Corte di Giustizia Europea.
Ascolta la news 5:03
Per la Cassazione non è ammessa la detraibilità ai fini IVA di fatture soggettivamente inesistenti, a meno che il contribuente non dimostri che non era o non poteva essere consapevole della frode. Mentre il costo ai fini delle dirette è deducibile se si riferisce all'acquisto di beni o servizi destinati alla commercializzazione e soddisfa i requisiti di certezza, inerenza, ecc., richiesti dal Testo Unico delle imposte sui redditi.
La Cassazione torna sul tema degli effetti dell'utilizzo di una fattura soggettivamente inesistente
L'ipotesi è quella della simulazione relativa, laddove cioè uno dei soggetti indicati nel documento fiscale (nello specifico l'emittente) sia diverso da quello reale. In casi simili, per la Cassazione occorre distinguere tra IVA e Imposte dirette, perché le conseguenze sono differenti.
Ai fini IVA la detraibilità dell'imposta deve essere negata, a meno che il contribuente non sia lui a dimostrare di non essere consapevole o di non poter essere consapevole di aver preso parte a un'operazione fraudolenta. Quindi, per la Cassazione, nella specifica materia c'è una presunzione legale relativa di consapevolezza del contribuente di essere parte di una frode.
Non è chiaro il passaggio logico che legittima una simile presunzione, né il riferimento all'art. 21 u.c. DPR 633/72 pare soddisfacente. Questa norma stabilisce solo che l'IVA sulle fatture false è comunque dovuta, ma la questione qui è un'altra, e riguarda la detraibilità dell'IVA relativa a una fattura soggettivamente inesistente. Ora, è chiaro che se l'operazione nella sua oggettività non è mai avvenuta, non si pone neppure un problema di detraibilità dell'imposta. Diverso è il caso di una simulazione soggettiva relativa, dove, come nel caso affrontato dalla Suprema Corte, il destinatario della fattura ha realmente acquistato quei beni o quei servizi, ma lo avrebbe fatto da un soggetto diverso da quello che emesso la fattura.
In questi casi la Cass. 1° marzo 2021 n. 5576 richiede che l'onere della prova sia assolto dall'Amministrazione finanziaria che, anche attraverso l'uso di presunzioni semplici, deve dimostrare che il contribuente fosse consapevole della frode (in realtà dovrebbe dimostrare che sia parte di un contratto simulato e parte di un altro contratto dissimulato). Nella Cass. 29 agosto 2022 n. 25474 la Cassazione sembra invertire l'onere della prova sul contribuente con riguardo alla circostanza della inconsapevolezza della partecipazione alla frode. Ma la questione non è chiarissima, perché l'ordinanza fa anche riferimento all'accertamento positivo compiuto dai giudici di secondo grado, lasciando intendere che l'onere della prova dell'amministrazione finanziaria sia stato assolto.
La questione resta tuttavia ambigua, e non tanto su chi deve provare cosa, quanto sull'oggetto della prova, che non è (come dovrebbe essere) l'esistenza di un accordo simulato tra le parti contrattuali, quanto piuttosto se il contribuente possa o meno essere consapevole di far parte di un più ampio meccanismo fraudolento (il caso di scuola è quello delle frodi carosello).
E proprio su questo punto l'orientamento della Cassazione è contrastante. Da un lato l'orientamento più rigido che ritiene provata la consapevolezza sulla base di indici di “inesistenza soggettiva” che il contribuente avrebbe dovuto verificare (Cass. 6 aprile 2020 n. 7694), dall'altro l'orientamento più ragionevole che richiede una prova diretta della consapevolezza (Cass. 6 aprile 2020 n. 7693), non ritenendo sufficienti indici oggettivi (ad esempio il fatto che il venditore era una cartiera).
Quest'ultimo orientamento è senza dubbio quello più affine all'indirizzo della Corte di giustizia europea (C.Giust. UE 22 ottobre 2015 C-277/14, PPUH Stehcemp) per la quale va riconosciuto il diritto alla detrazione in capo al soggetto cessionario sebbene la società che aveva emesso le fatture risultasse un soggetto inesistente in quanto non era registrata ai fini dell'IVA, non presentava dichiarazioni fiscali, non pagava imposte, non disponeva di autorizzazione per la vendita dei beni fatturati e aveva stabilito la propria sede legale in un immobile fatiscente che, di fatto, rendeva impossibile lo svolgimento di qualsiasi attività economica.
Altra questione è invece la deducibilità del costo rappresentato da una fattura soggettivamente inesistente ai fini delle imposte dirette.
Per la Cassazione il costo è deducibile nella misura in cui è effettivamente sostenuto riguardando un acquisto reale. Ovviamente è necessario che abbia tutti i requisiti (certezza, inerenza, ecc.) previsti dal Testo Unico delle imposte sui redditi.
Inoltre, deve trattarsi di un costo per l'acquisto non di beni utilizzati direttamente al fine di commettere il reato, ma di beni destinati alla commercializzazione.
E la deducibilità, a queste condizioni, è ammessa anche se è provata la consapevolezza del contribuente della partecipazione alla frode.
Fonte: Cass. 29 agosto 2022 n. 25474
© Copyright - Tutti i diritti riservati - Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Rimani aggiornato sulle ultime notizie di fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti, professioni e innovazione
Per continuare a vederlo e consultare altri contenuti esclusivi abbonati a QuotidianoPiù,
la soluzione digitale dove trovare ogni giorno notizie, video e podcast su fisco, lavoro, contabilità, impresa, finanziamenti e mondo digitale.
Abbonati o
contatta il tuo
agente di fiducia.
Se invece sei già abbonato, effettua il login.