“Il contratto di lavoro intermittente e il nuovo periodo di prova dopo il Decreto Trasparenza”, è questo il titolo del nuovo approfondimento della Fondazione Studi che raccoglie alcune riflessioni dei Consulenti del lavoro sotto il profilo sostanziale e procedurale, nonché sanzionatorio, delle novità recate dal D.Lgs. 104/2022 in materia di lavoro intermittente e periodo di prova.
Come noto, il nuovo decreto prevede, a decorrere dallo scorso 13 agosto, una serie di informazioni relative al rapporto di lavoro che datori di lavoro e committenti sono tenuti a comunicare ai lavoratori in fase di assunzione. Se da un lato, infatti, il datore di lavoro non è più obbligato al preavviso di chiamata minimo, è però ora tenuto a indicare nel contratto di lavoro intermittente le eventuali fasce orarie e i giorni prestabiliti in cui il lavoratore è chiamato a svolgere la prestazione. Il Decreto, in particolare, apporta modifiche all'art. 15 D.Lgs. 81/2015 e stabilisce che, oltre alle informazioni di cui all'art. 1, c. 1, il contratto di lavoro intermittente debba contenere altri elementi, tra cui la natura variabile della programmazione del lavoro, la durata e le ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto. L'ulteriore novità che emerge dal confronto tra il testo originario dell'articolo 15, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 e il Decreto Trasparenza è, come anticipato, l'eliminazione della previsione che obbligava il datore a un preavviso di chiamata minimo. Tale circostanza lascia ora libere le parti di concordare anche un preavviso di chiamata minimo (anche di una sola ora) come pure di considerare valido e legittimo il preavviso dato in giornata festiva o comunque non lavorativa. Al riguardo, secondo i Consulenti del lavoro, occorre, tuttavia, considerare quanto stabilito dall'art. 9, c. 4, D.Lgs. 104/2022 nel quale è previsto che, nell'ambito dei rapporti di cui al comma 1 (tra i quali rientra anche il lavoro intermittente), qualora il datore di lavoro revochi un incarico o una prestazione di lavoro precedentemente programmati, senza un ragionevole preavviso, è tenuto a riconoscere al lavoratore la retribuzione prevista per la prestazione pattuita dal contratto collettivo, ove applicabile o, compensarlo con una somma non inferiore al 50% del compenso inizialmente pattuito per la prestazione annullata. Come ricordato dalla Fondazione, per programmazione di lavoro si intende quella che determina in quali giorni e ore inizia e termina la prestazione di lavoro e che, nel caso del lavoro intermittente, seppure variabile, viene comunque stabilita (rectius: chiamata) dal datore di lavoro.
L'approfondimento dei Consulenti del Lavoro si sofferma inoltre sul periodo di prova che, stando all'art. 7, c. 1, D.Lgs. 104/2022, non può essere superiore ai sei mesi, nemmeno laddove ci fosse un accordo certificato delle parti contraenti. Il documento passa poi ad analizzare proporzionalità, sospensione, non ripetibilità del periodo di prova con un cenno ai profili ispettivi e alle sanzioni amministrative nel caso in cui il datore non fornisse le informazioni dovute al lavoratore.
Fonte: Approfondimento Fondazione Studi 6 settembre 2022