martedì 06/09/2022 • 16:32
Le imprese possono chiedere di ottenere la certificazione di parità di genere per accedere a finanziamenti e ad una miglior reputazione. Ottenere l’attestato impone un’attenzione alla situazione del personale, alla contrattazione aziendale, agli strumenti di welfare e ai processi di recruitment e retributivi.
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Se fino a qualche anno fa il mondo produttivo faceva dell’omogeneità un “marchio” di fabbrica, oggi è il termine “diversity” il vero protagonista all’interno dei luoghi di lavoro.
Il suo non è stato un cammino semplice; il termine “diversity”, malvisto da quella tradizione fordista che condannava alla diversità donne, anziani e bambini, considerati più “deboli”, si è scontrato con stereotipi e luoghi comuni.
Solo di recente ha iniziato a diffondersi la consapevolezza del potente valore che caratterizza le peculiarità che riguardano, in diversa misura, tutti noi: età, sesso, razza, appartenenza etnica, nazionalità, cultura, fede religiosa, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, etc.
Secondo il Diversity Brand Index 2022 i ricavi delle imprese "inclusive" sono più alti del 23%. Il risultato è positivo per tutti: da un lato, il benessere dei lavoratori, un maggior commitment, una più elevata motivazione personale; dall’altro, employer branding, incremento della produttività, aumento del tasso di innovazione, soddisfazione e fidelizzazione dei clienti.
I vantaggi della certificazione della parità
Lo scorso 1° luglio è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 29 aprile 2022, attuativo della misura contenuta nella Legge di Bilancio 2022 (art. 1, c. 147, Legge 234/2021), che fissa i criteri minimi per ottenere la certificazione della parità di genere. La certificazione è, dunque, operativa: le imprese possono chiederla agli organismi di valutazione accreditati ed ottenere così l’attestato sul possesso di parametri minimi di equità uomo-donna in azienda.
Tre i vantaggi immediati:
Gli indicatori di inclusione per ottenere la certificazione
I criteri sono quelli contenuti nelle Linee Guida sul Sistema di Gestione per la Parità di Genere, varate dal Dipartimento delle Parti Opportunità della Presidenza del Consiglio, il 16 marzo 2022, che prevedono l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione).
Sei le aree su cui valutare i Key Perfomance Indicators, con quattro cluster di aziende, di cui il quarto costituito dalle aziende "grandi" dotate, cioè, di un organico pari o superiore a 250 dipendenti. Ogni area è contraddistinta da un peso percentuale (fatto 100 il totale del peso delle differenti Aree) che rileva per la misurazione: le aziende ottengono la certificazione al raggiungimento del 60%. Gli specifici KPI consento di misurare, per ciascuna area, il grado di “inclusion” dell’azienda.
Di seguito, una veloce rassegna delle sei aree.
Prima area: Cultura e strategia, con un peso del 15% rispetto alla valutazione complessiva e sette indicatori. Tra questi: un piano strategico per sostenere un ambiente di lavoro inclusivo, comunicazione interna ed esterna sul tema, equa rappresentanza ai panel o tavole rotonde di uomini e donne, formazione e informazione. L’obiettivo, in questo caso, è di stimolare la creazione di un contesto lavorativo "gender friendly".
Seconda area: Governance, con un peso del 15% sul totale e cinque indicatori. Tra questi: governance dell'organizzazione ai fini della parità di genere, budget dedicato a tal fine, numero di esponenti del sesso meno rappresentato nell'organo amministrativo e di controllo dell'organizzazione. L’impatto è sulla struttura di governo della società, lo scopo è quello di garantire la “partecipazione” al genere tradizionalmente meno rappresentato.
Terza aerea: Processi HR con un peso del 10% e sei indicatori. Tra questi, sviluppo delle risorse umane in favore dell'inclusione, come processi di recruitment neutrali, turnover e mobilità interna in base a criteri di genere, protezione dell'occupazione e del trattamento retributivo nel post -maternità, prassi virtuose a tutela dell'ambiente di lavoro.
Quarta aerea: Opportunità di crescita in azienda neutri per genere con un peso del 20% e 7 indicatori. Tra questi, per le aziende "grandi", alcuni di natura quantitativa come la percentuale di donne nell'organizzazione rispetto al benchmark dell'industria di riferimento, di donne dirigenti, responsabili di unità produttive o nella prima linea di riporto al vertice.
Quinta area: Equità remunerativa per genere con un peso del 20% e tre indicatori: differenza nel trattamento retributivo tra uomo e donna a parità di competenze, percentuale promozioni femminili su base annua e di donne con remunerazione variabili, prassi trasparenti per il conseguimento di tali remunerazioni. Ad essere stimolata è, in questo caso, l’adozione di nuovi processi di gestione delle risorse umane a tutela della parità di genere.
Sesta area: Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro con un peso del 20% e cinque indicatori. Si tratta della presenza dei servizi dedicati al rientro post maternità/paternità (smart working, welfare personalizzato, asili nido, part-time), di policy migliorative del CCNL a tutela dei paternità/maternità e del work life balance, di iniziative che promuovano la genitorialità come fonte dell'acquisizione di nuove competenze, di un‘effettiva fruizione dei congedi parentali.
La verifica del rispetto dei parametri
Il monitoraggio degli indicatori da parte delle imprese che ottengono la certificazione deve essere costante, così come periodica deve essere la verifica del rispetto dei parametri minimi. Quattro sono gli architravi su cui si fonda l'architettura delle Linee Guida:
a) un Comitato Guida, costituito dall'Amministratore Delegato, o da un delegato della proprietà, e dal direttore del personale o altra figura equivalente;
b) un piano strategico sulla parità di genere adottato da tale organo, che contempli un monitoraggio costante sulla sua attuazione e tenuta nel tempo;
c) il monitoraggio dell'applicazione di tale piano, anche attraverso audit interni;
d) un audit esterno rimesso ad un Organismo di Certificazione, a cui devono prendere parte alternativamente un avvocato giuslavorista, un consulente del lavoro o una persona con esperienza qualificata nel campo.
È rimessa alla discrezionalità delle aziende destinatarie della certificazione la possibilità di aggiornarla dopo due anni, in caso di innovazioni interne che impattano su essa.
Si tratta di un’importante sfida per i giuslavoristi, che dovranno mettere mano ai processi aziendali per tararli sulla bilancia della certificazione per la parità di genere. Come visto, infatti, le sei aree strategiche coinvolte sono costellazioni della galassia giuslavoristica.
Ottenere la certificazione impone, in altri termini, un’attenta rivisitazione della situazione relativa al personale, alla contrattazione collettiva aziendale, agli strumenti di welfare e di work life balance, ai processi di recruitment e retributivi e via dicendo.
In definitiva, si tratta di una straordinaria occasione di upgrade delle aziende del Paese in grado di tracciare un nuovo corso per il diritto del lavoro. Non più conflitto tra imprese, lavoratori e sindacati, ma alleanza tra essi e spirito inclusivo.
I benefici non tarderanno ad arrivare. Del resto, come ripeteva Bernardez: “ciò che l’albero ha di fiorito vive di ciò che tiene sepolto”.
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