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lunedì 05/09/2022 • 06:00

Fisco Parere d’iniziativa del Comitato economico e sociale europeo

Stabile organizzazione e telelavoro transfrontaliero: ricadute fiscali

Il CESE ha adottato un parere di iniziativa dal titolo “Tassazione dei telelavoratori transfrontalieri e dei loro datori di lavoro” sul fenomeno del telelavoro transfrontaliero dal punto di vista fiscale, a seguito delle modifiche straordinarie intervenute nelle vite dei lavoratori e delle imprese a seguito della pandemia di COVID-19.

di Marlinda Gianfrate - Of Counsel, Studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici

di Luca Tortorella - Associate, Studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il parere del Comitato economico e sociale europeo, dopo un excursus sul contesto di riferimento, esamina il fenomeno del  telelavoro transfrontaliero dal punto di vista fiscale, nello specifico vertendo sulla tassazione diretta dei lavoratori (retribuzioni) e dei datori di lavoro (utili delle imprese), offrendo alcune proposte e invitando le autorità internazionali a identificare soluzioni condivise.

Il parere esamina le ricadute fiscali del lavoro transfrontaliero sulla tassazione diretta dei lavoratori e dei datori di lavoro; non sono oggetto di analisi i lavoratori distaccati, i frontalieri e i lavoratori autonomi che realizzano vendite transfrontaliere.

Vale la pena ricordare che il CESE è un organo che assiste il Parlamento, il Consiglio e la Commissione esercitando funzioni consultive. La consultazione da parte delle istituzioni europee appena menzionate è obbligatoria nei casi previsti dai trattati e facoltativa nei restanti casi. Il Comitato può anche formulare pareri di propria iniziativa. I membri esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell'interesse generale dell'Unione Europea

Il fenomeno del “work from home, work from anywhere”

Durante la pandemia, anche a seguito alle restrizioni di viaggio e alle limitazioni imposte dai governi al numero di lavoratori presenti negli uffici al fine di ridurre la trasmissione del virus COVID-19, si è assistito a un aumento significativo del telelavoro, frutto tra gli altri dei notevoli sforzi per digitalizzare le attività da parte delle imprese al fine di facilitare il lavoro da casa dei dipendenti.

Nel parere, il CESE si è soffermato sui benefici derivanti dal telelavoro, menzionando tra gli altri la ricaduta positiva per l’obiettivo fissato dall’agenda del Green deal dell’Unione Europea di zero emissioni (carbon neutrality), nonché l’intrinseca mobilità all’interno dell’Unione per effetto della libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico. Il CESE, infatti, ritiene che l’aumento del telelavoro debba essere accolto favorevolmente e, ove possibile, incoraggiato.

Tuttavia, nel proprio documento il CESE ha espresso la consapevolezza che l'intensificarsi di tale fenomeno, nella sua versione transfrontaliera, può generare criticità per il sistema fiscale internazionale (in larga parte già note), sia con riferimento alla fiscalità delle persone fisiche sia con riferimento al possibile rischio di costituzione di stabili organizzazioni.

Le prospettive future del mercato del lavoro, considerato anche l’apprezzamento da parte dei lavoratori, portano a ritenere che il telelavoro continuerà la sua diffusione: a tal riguardo, a parere del CESE vi sono validi motivi per affrontare le possibili criticità derivanti dal telelavoro transfrontaliero a livello europeo e per raggiungere un elevato livello di coordinamento, prima che sia trovata una soluzione a livello mondiale.

Il telelavoro transfrontaliero e il parere del CESE

Con l’espressione telelavoro transfrontaliero si indicano i dipendenti di una impresa, situata in un dato paese, che prestano tutta o parte della propria attività lavorativa nel paese di residenza o in un paese terzo, in entrambi i casi non coincidenti con la giurisdizione in cui ha sede l’impresa (ovvero, il luogo tradizionale di svolgimento dell’attività); tale prestazione è resa mediante strumenti di telelavoro.

Il parere del CESE, per quanto concerne la tassazione delle retribuzioni, sottolinea come un telelavoratore transfrontaliero potrebbe essere soggetto a doppia imposizione in relazione al reddito da lavoro dipendente con conseguenti controversie lunghe e onerose in contrapposizione agli Stati Membri. Il telelavoratore transfrontaliero potrebbe potenzialmente essere obbligato a presentare due distinte dichiarazioni dei redditi, eventualmente soggette a termini differenti; potrebbero inoltre sorgere difficoltà nel ripartire esattamente gli oneri fiscali per la generazione del reddito. Infine il telelavoratore potrebbe non riuscire a fruire di agevolazioni fiscali o crediti di imposta.

In tema di tassazione degli utili delle società, il CESE rileva il rischio che la presenza di telelavoratori internazionali in paesi diversi da quelli in cui ha sede l’impresa datrice di lavoro possano involontariamente generare una stabile organizzazione di quest’ultima in un paese estero, con le conseguenti ricadute in termini di ripartizione degli utili tra casa madre e stabile organizzazione e obblighi dichiarativi e di pagamento delle imposte nelle giurisdizioni interessate (senza considerare, in caso di contestazione da parte delle amministrazioni finanziarie, le sanzioni e i conseguenti rischi reputazionali). Il parere evidenzia anche le ricadute di tale questione sulle PMI prive di struttura internazionale e di sviluppate competenze interne, anche con riferimento all’impatto che onerose attività amministrative di natura tributaria (tra cui le consulenze esterne) correlate all’eventuale identificazione della stabile organizzazione potrebbero avere sulla redditività dell’impresa stessa.

Stabile organizzazione

Nel documento in esame, il CESE richiama i più recenti orientamenti dell’OCSE pubblicati durante la pandemia in relazione ai riflessi in tema di sussistenza di stabile organizzazione derivanti dai cambiamenti eccezionali e temporanei del luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.

In tal senso, i documenti dell’OCSE (ma anche le linee guida emanate da alcuni paesi quali Australia, Austria, Canada, Grecia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Regno Unito) generalmente riconoscono che la prestazione del lavoratore dal proprio domicilio durante la pandemia non sia (stato) indice di permanenza o continuità al punto da caratterizzare la stabile organizzazione dell’impresa (e, al riguardo, neppure la temporanea sottoscrizione da casa di accordi contrattuali che vincolassero l’impresa).

Tuttavia, a parere dell’OCSE, qualora un lavoratore continuasse a lavorare da casa anche dopo la fine della pandemia o delle misure restrittive di salute pubblica, sarebbe necessario un ulteriore esame dei fatti e delle circostanze di specie: se da un lato la continuità del telelavoro transfrontaliero non dovrebbe generare automaticamente una stabile organizzazione dell’impresa in un paese estero, in ogni caso andrebbe valutato se la casa del dipendente sia in effetti “a disposizione” dell’impresa, oltre al ruolo del dipendente dal punto di vista delle funzioni svolte e dei rischi assunti. Per le persone che ricoprono “decision-making positions”, le autorità fiscali hanno spesso sostenuto che il lavoro da casa può implicare la creazione di una stabile organizzazione.

Nelle sue conclusioni, il CESE raccomanda l’adozione di regole quanto più possibile condivise tra gli Stati Membri, che siano di facile applicazione, eliminino la doppia imposizione e la doppia non imposizione e che tengano conto delle evoluzioni del mercato del lavoro.

Infine, solo con riferimento alla tassazione diretta dei lavoratori, il CESE propone alcuni spunti, ovvero:

  • un accordo tra gli Stati membri che comporti il sottoporre a tassazione il lavoratore soltanto se il numero di giornate lavorative nel paese (in cui ha il domicilio) sia superiore a 96 in un anno solare. A tal fine il CESE osserva che la convenzione multilaterale, strumento già ampiamente utilizzato in ambito fiscale in sede OCSE potrebbe agevolare l’attuazione tempestiva delle nuove regole fiscali;
  • se invece venisse applicata la regola dei 183 giorni, già utilizzata in sede convenzionale e nazionale per identificare la maggior parte del periodo di imposta, si potrebbe garantire una maggiore flessibilità ai lavoratori;
  • la necessità di mettere a punto un sistema per standardizzare la rendicontazione (dei giorni di lavoro) ai fini fiscali e l’istituzione di un meccanismo di compensazione per trasferire il gettito fiscale tra gli Stati membri, attraverso l’istituzione di uno sportello unico, similmente a quello già in essere in ambito IVA. Con tale sportello unico alle imprese verrebbe richiesto di comunicare, per i propri telelavoratori transfrontalieri, i giorni di lavoro da casa e quelli di lavoro in sede così da consentire alle autorità fiscali di valutare automaticamente la parte di reddito imponibile in ciascun paese. A complemento di tale sistema, l’introduzione di un regime di compensazione consentirebbe al contribuente di avere una sola amministrazione controparte.

Conclusioni

Il tema affrontato dal CESE è di grande attualità e oggetto di maggiore attenzione da parte delle imprese multinazionali e delle amministrazioni finanziarie che, talvolta, giungono a soluzioni discordanti. Si veda al riguardo la decisione della autorità fiscale danese del maggio 2022 che ha dichiarato come un dipendente danese assunto da una impresa tedesca e che svolge la propria attività lavorativa da casa in Danimarca costituisca, in tale paese, stabile organizzazione, o anche la recente sentenza della corte suprema austriaca che, al contrario, ha previsto che non costituisce stabile organizzazione materiale la disponibilità, da parte di un contribuente ungherese, di una scrivania in un ufficio condiviso in Austria.

La pandemia ha generato una nuova consapevolezza in capo a imprese e dipendenti, in relazione al telelavoro. Al tempo stesso, la mobilità internazionale sta tornando ai livelli precedenti alla pandemia e, grazie allo sviluppo della tecnologia, si assiste a una destrutturazione delle imprese multinazionali come finora conosciute che rende sempre più frequente, per i dipendenti localizzati in un paese, svolgere funzioni above the market, a beneficio dunque di più giurisdizioni.

Si auspica che l’impulso del CESE possa produrre iniziative correlate e tempestive in sede europea e che in parallelo possano prendere avvio i lavori del Centre for Tax Policy and Administration dell’OCSE sulla mobilità globale dei lavoratori. Il mandato conferito ai gruppi di lavoro dell’OCSE consentirebbe di giungere alla definizione di regole comuni e aggiornate al fine di fornire una maggiore certezza ai contribuenti, principalmente mediante la modifica degli articoli 5 e 15 del Modello di convenzione dell’OCSE contro le doppie imposizioni e relativo Commentario nonché sulle tematiche connesse di allocazione di utili ex art. 7 del Modello citato.

Al momento, considerate le diverse interpretazioni da parte delle amministrazioni finanziarie e le oggettive complessità della materia, appare consigliabile lo svolgimento di dettagliate analisi funzionali e di rischio, al fine di identificare (e in caso mitigare) possibili rischi fiscali.

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