martedì 23/08/2022 • 06:00
La Cassazione ribadisce una ormai consolidata interpretazione dell'art. 19 D.Lgs. 231/2001 sull'efficacia reale della confisca nei confronti di un ente in seguito dichiarato fallito. Di particolare interesse il rilievo che i creditori della procedura non rientrano tra i terzi in buona fede.
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La sentenza penale della Corte di Cassazione n. 30605, emanata il 24 maggio 2022 e pubblicata il 3 agosto 2022, pur inserendosi all'interno di un corposo filone giurisprudenziale, costituisce un valido spunto di riflessione perché ripropone, nella sostanza, un'interpretazione condivisibile dell'art. 19 D.Lgs. 231/2001 sull'efficacia reale della confisca del prezzo o del profitto del reato quando l'ente risulti destinatario di una sentenza di condanna all'esito del relativo procedimento penale.
Il caso
La vicenda tra origine dall'impugnazione del provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Tribunale da parte del curatore di una società fallita quale misura cautelare funzionale alla confisca del prezzo o del profitto del reato (tributario nella fattispecie de qua).
In buona sostanza la curatela ricorrente ha censurato la valutazione degli interessi disposta dal giudice d'appello, il quale non solo avrebbe pregiudicato le “esigenze di tutela dei creditori”, ma avrebbe altresì tralasciato di apprezzare la provenienza lecita delle somme sottoposte a sequestro, cui si aggiunge il mancato riconoscimento del fallimento quale soggetto terzo in buona fede.
Il fallito non è estraneo al reato
L'assunto su cui si fonda la sentenza in parola (che rigetta il ricorso) è lineare e, come tale, in linea di principio condivisibile: in materia di confisca, a seguito di sentenza di condanna per i reati exD.Lgs. 74/2000, se il fallito non è persona estranea al reato non è possibile invocare la preclusione all'applicazione della misura cautelare prevista dall'art. 12-bis del decreto in parola.
Le argomentazioni a sostegno attingono ai principi cardine della Legge Fallimentare e cioè "la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento". Ne discende che il fallimento determina il venir meno del potere del fallito di disporre del proprio patrimonio, ma non afferma certo la perdita, da parte del precisato soggetto, della titolarità dei suoi beni solo perché acquisiti dalla curatela.
Pertanto, se, come nel caso di specie, la confisca interviene prima della declaratoria fallimentare, non può invocarsi l'esimente dell'art. 12 bis D.Lgs. 74/2000, perché - con tutta evidenza - il fallito non può considerarsi persona estranea al reato.
Da qui il collegamento con la confisca ex art. 19 D.Lgs. 231/2001 come ricostruita dalla sentenza delle SS.UU. n. 11170/2014 in base alla quale “in tema di responsabilità da reato della persona giuridica successivamente fallita, i diritti acquisiti dai terzi in buona fede che, ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. 231/2001, sono fatti salvi rispetto alla confisca, si identificano nel diritto di proprietà e negli altri diritti reali che gravano sui beni oggetto dell'apprensione da parte dello Stato e non anche nei diritti di credito”.
I creditori non sono terzi in buona fede
La conseguenza di tale interpretazione è di assoluto rilievo: i creditori non rientrano tra i terzi in buona fede i cui diritti possono essere fatti salvi e ciò perché, prima della conclusione della procedura concorsuale e della assegnazione dei beni, essi non sono titolari di alcun diritto su questi ultimi e, quindi, sono privi di un titolo restitutorio.
Dunque, il riconoscimento della curatela fallimentare quale soggetto terzo in buona fede viene meno una volta acclarato:
Fonte: Cass. pen. 3 agosto 2022 n. 30605
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